Livorno e lo stadio internazionalista
11 Febbraio 2003 - letto 3325 volte Sabato 9 febbraio, ore 22. In via dei Mulini a Livorno, nella palazzina sede abituale degli antagonisti cittadini, c'è un pullulare di gente. Di genti sarebbe più corretto dire: oltre duecento, forse trecento, molti dei quali provenienti da tutta Italia e da mezza Europa. Una ventina di romani, tra cui alcuni membri della Banda Bassotti, un gruppetto di milanesi (altri trenta ne arriveranno la mattina seguente), salernitani, napoletani, genovesi, marsigliesi, due ragazzi belgi di Liegi, due portoghesi, otto tedeschi (due di Bochum e sei di Berlino). Al primo piano, al C.S.O.A. Godzilla, la cena è appena terminata. Adesso si suona, si canta e si balla al ritmo della tarantella. Al secondo piano, al Centro 1921, sede abituale degli ultrà della curva Nord, le Brigate Autonome Livornesi, si preparano gli striscioni da esporre allo stadio l'indomani. Nelle casse dell'impianto stereo c'è spazio soltanto per le vecchie canzoni della Russia bolscevica: Internazionale e Gimn Sovetskogo soyuza (l'inno sovietico) qua dominano ancora, incuranti delle bocciature della storia. Allo stadio Armando Picchi, l'indomani, andrà in scena una partita molto particolare. Arriverà il Verona di Malesani, ma soprattutto arriveranno sei-settecento ultrà dell'Hellas. Quelli delle celtiche e delle svastiche, quelli dei «buuu» razzisti ai giocatori di colore, quelli che le coreografie e le trasferte le fanno con i soldi di Forza Nuova. Ecco spiegata tutta questa mobilitazione da mezza Europa: una riunione ufficiale delle tifoserie di sinistra, una sorta di Internazionale del tifo che non era sfuggita alla Digos di Livorno che aveva segnalato nei giorni scorsi la partita al Ministero degli interni per l'arrivo di esponenti dell' area antagonista italiana e internazionale, vicina ai centri sociali e al movimento no global. Sono venuti per dare il proprio contributo e «difendere» Livorno. «Livorno è rossa - spiega animatamente un ragazzo delle Bal - e qui il fascista non passa. I veronesi li ho sempre odiati e domani ci sarà la resa dei conti. Guai ai nemici del popolo». Già, la politica allo stadio, una questione trita e ritrita. Giusto o sbagliato? Da una parte i «puri», coloro ai quali una falce e martello che sventola sulle gradinate o un «avanti popolo» cantato a squarciagola fa venire i nervi «perché la politica si fa nelle piazze e non negli stadi»; dall'altra quelli che la pensano in maniera diametralmente opposta e sostengono che la politica dentro lo sport c'è comunque: nella gestione degli atleti, delle squadre, nei giochi di palazzo. Intorno a mezzanotte si sparge una voce impazzita: alcuni veronesi sono già arrivati a Livorno e stanno girando indisturbati per la città. Nel breve volgere di pochi minuti scatta il «piano di difesa» e mezza Livorno scende in strada. Le ronde durano fino all'alba, ma della famigerata Banda Loma (l'ala più oltranzista del tifo veronese) o del Fronte Veneto Skinheads nemmeno l'ombra. Domenica, ore 10. Nel piazzale antistante alla curva Nord ci sono già circa 500 persone. «E' un presidio - spiega un ragazzo locale - visto che i veronesi non sono nuovi a improvvise sortite mattutine». In realtà i tifosi dell'Hellas, quelli dei 10 pullman, a Livorno non arriveranno mai. Una scelta comunque discutibile del questore di Livorno, Antonio Puglisi, che ha approfittato del fatto che una minima parte di loro non avesse il biglietto per «parcheggiare» tutta la comitiva gialloblù all'Interporto di Guasticce, in aperta campagna, a 15 km dalla città labronica. Ne è nato uno scontro violentissimo con le forze dell'ordine, impegnate a dar la caccia per i campi agli ultras veronesi che assaltavano tutto ciò che incontarvano sulla loro strada: macchine, abitazioni, covoni di fieno. Mezz'ora prima dell'inizio della partita l'altra guerriglia annunciata, quella della curva amaranto contro la polizia: rea, tra le altre cose, di aver diffidato una ventina di ultrà livornesi pescando un po' a casaccio in occasione dei tafferugli accaduti nell'ultima gara casalinga contro la Sampdoria. Una carica, quella partita dai livornesi, per permettere ai molti compagni giunti a Livorno privi di biglietto, di vedere la partita. Una volta ricompattatisi, poliziotti e carabinieri provano ad entrare in curva, cercando invano di aprire i cancelli, ma rimbalzano sul muro creato dall'«esercito internazionalista». Anche i famigerati lacrimogeni al peperoncino non sortiscono alcun effetto e dopo venti minuti di battaglia, le divise blu si ritirano dai loro propositi. Nel settore ospiti solo una cinquantina di veronesi, arrivati con mezzi propri. Cantano «sieg heil!» e si esibiscono nel saluto romano mentre aspettano gli amici che mai arriveranno. Inizia la ripresa e sono già la metà. Dopo un quarto d'ora, nel settore, non c'è più nessuno. Sono andati via a gruppetti di tre o quattro persone. Per non dare nell'occhio. Fonte: IL MANIFESTO ilmanifesto.it Notizie correlate Inter
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