L'odio corre su Internet
15 Giugno 2004 - letto 1593 volte Siti dell'estrema destra. Quelli dei terroristi islamici. E degli ultras del calcio. Ognuno con un fine diverso. Ma uniti dal comune linguaggio della violenza. Che da virtuale, sempre più spesso diventa reale L'indirizzo: Jalan, Taman Miharja, a Kuala Lumpur. Un quartiere moderno: palazzi per uffici, grandi condomini, una palestra, una stazione di servizio e due centrali della polizia. Qui ha sede un'azienda che ospita siti Web: tra i suoi clienti ci sono cinesi, americani, europei, indonesiani, egiziani. Ha un nome che ricorda i cartoni animati: Acme Commerce. Ma dall'8 maggio scorso la voglia di ridere è scomparsa dai suoi uffici. Perché dai computer della Acme sgorga sangue. A fiotti. È il terrore. L'odio. La guerra. Che, questa volta, ha scelto la strada del Web. A partire da quell'8 maggio, i tecnici si accorgono che nei loro grandi ordinatori connessi alla Rete sta accadendo qualcosa di strano. Il traffico sta crescendo inspiegabilmente. Troppo velocemente. In qualche giorno la situazione diventa davvero anomala. Il sito di una strana entità si è materializzato sui server della Acme e sta attraendo centinaia di migliaia di visitatori da tutto il mondo. Perché è il sito Web che per primo lancia on line il video della decapitazione di Nick Berg. Chi lo ha pubblicato è evidentemente in contatto con i responsabili. Il 15 maggio il governo malese interviene chiedendo la cancellazione del sito. La Acme provvede. Ma non basta. Sui server della Acme la violenza è di casa: vi si scoprono siti di sostenitori di Al Qaeda, di affiliati a Hamas, di ribelli ceceni. Agli occhi del mondo, Kuala Lumpur sembra divenuta il paradiso dei siti del terrore, la capitale della guerra che da reale si fa virtuale e viceversa. Il primo ministro malese, Abdullah Badawi, appare alla tv per ordinare la chiusura di tutti i siti dei fondamentalisti islamici ospitati nel suo paese. Ma i siti dell'odio non si fermano. Nessuno li può fermare. Se ne chiude uno, se ne apre un altro. Sono come talpe che spuntano sulla Rete, attraggono con le loro immagini orrende e le loro violente parole numerosissimi visitatori da ogni parte del mondo. Poi scompaiono e si spostano altrove. Sembrano una malattia del Web che si diffonde come un'epidemia: invece sono la malattia del genere umano. I ceppi del virus sono diversi. Ci sono i siti dei fondamentalisti islamici e dei terroristi mediorientali. Ma ci sono anche i siti dell'estrema destra europea e americana. Ci sono persino i siti degli ultras del calcio italiano. Inneggiano alla violenza, organizzano le azioni, alimentano lo spirito di gruppo degli estremisti globali. E attraggono anche molti normali navigatori: se non altro perché soddisfano la morbosa curiosità di chi cerca nella Rete un buon motivo per inorridire. Antonio Roversi, docente di Strategie della comunicazione multimediale a Bologna ha studiato il fenomeno. E quello che ha visto lo ha condotto spesso ad abbandonare il distaccato atteggiamento scientifico per provare ogni sorta di orrore. "La vista di quelle immagini dà il voltastomaco", dice: "Il fenomeno si sta allargando. La Fondazione Wiesenthal calcola che i siti della destra radicale siano almeno 4 mila nel mondo. È chiaro che un censimento preciso dei siti dei terroristi è impossibile: ma il panorama è vastissimo e differenziato. I siti della destra radicale, in America e in Europa, hanno uno scopo propagandistico e si rivolgono a un pubblico consenziente e dotato dei sistemi di accesso alla Rete. Quelli dei terroristi islamici hanno invece, probabilmente, uno scopo legato alla loro organizzazione interna, anche perché nei paesi mediorientali il pubblico che può accedere è ancora molto limitato". Vero: in Iraq, su quasi 25 milioni di abitanti, solo 12.500 si collegano a Internet; in Arabia Saudita, su oltre 24 milioni di abitanti, quasi 3 milioni sono sul Web; in Iran, su 68 milioni di abitanti, 420 mila sono on line. E le cifre, raccolte da ClicZ, non sono molto diverse negli altri paesi islamici. "I siti della destra radicale negano l'esistenza della persecuzione nazista contro gli ebrei", spiega Roversi, "descrivono l'epoca fascista come un periodo glorioso della storia culturale occidentale e declinano il loro antisemitismo nei modi più diversi, mostrando in sostanza il popolo ebraico non come vittima, ma come carnefice". Il che, come spiega nel suo ultimo libro, 'Les Martyrocrates. Dérives et impostures de l'idéologie victimaire', Gilles William Goldnadel, avvocato francese, è un'operazione strategica per la conquista del potere. Siccome dopo la Shoah sono solo le vittime a raccogliere unanime consenso per la loro causa, occorre presentare gli ebrei non come coloro che hanno subito le persecuzioni, ma come gli eredi dei nazisti. Conferma Roversi: "I siti antisemiti, sia della destra radicale che dei terroristi islamici, devono negare l'Olocausto e dipingere gli ebrei come boia sanguinari. La crudezza delle immagini che pubblicano è particolarmente atroce quando mostrano le operazioni militari israeliane in Palestina, i bambini uccisi, la popolazione sofferente". È una retorica dell'odio contro quella che dipingono come "l'etnia dominante globale", stravolgendo il ragionamento e i termini proposti nel suo saggio che, in versione italiana, è intitolato, appunto, 'L'età dell'odio', dalla studiosa americana della globalizzazione Amy Chua. "Ma c'è una differenza tra siti della destra e quelli dei terroristi", prosegue Roversi: "Gli ultimi spiegano come tradurre l'odio, dal virtuale alle azioni concrete sul terreno: contengono in genere oltre a una sezione dedicata alla religione, un'altra che spiega come si costruiscono armi e trappole contro il nemico, manuali di guerriglia e filmati di operazioni militari. Infine, servono alla comunicazione interna dei gruppi terroristici e alla propaganda sulla cultura mediorientale minacciata dalla 'contaminazione occidentale'". Per seguire gli spostamenti di questo genere di pubblicazioni, si può consultare Haganah, un sito israeliano intitolato alla prima milizia ebraica clandestina che operò in Palestina a partire dal 1920. Le informazioni non mancano: le tracce dei siti del terrore si trovano in ogni paese. Anche negli Stati Uniti, in Europa (http://internet-haganah.co. il/haganah/). La forma internettiana del terrorismo è fondata sulla pubblicazione delle immagini più orribili. Corpi distrutti, arterie aperte che spruzzano sangue, mani tagliate, lingue mozzate. Ma, come insegnava Marshall McLuhan, il mezzo prevale sul contenuto. Così, la retorica dell'odio, su Internet, in un mondo quindi virtuale, tende a rendere somiglianti i siti dei più diversi movimenti violenti. La ricerca di Roversi, in effetti, era partita dall'analisi dei siti degli ultras del calcio. E lo ha condotto a scoprire un pianeta di odio in Rete. "Gli ultras italiani, infiltrati da Forza Nuova fanno propaganda per costruire una loro comunità. Ma in effetti predicano l'odio contro gli ebrei, la violenza fisica contro il nemico". Le assonanze sono clamorose. La durezza del linguaggio e gli obiettivi, ovviamente, sono differenti. La struttura della comunicazione, invece, è abbastanza simile. Ne dà prova il capitolo dedicato, appunto, all'odio in Rete del nuovo libro di Roversi, 'Introduzione alla comunicazione mediata dal computer': il sito de Il Mulino consente tra l'altro di navigare tra i link raccolti nel libro per raggiungere le pubblicazioni di alcuni tra i gruppi più violenti della Rete. Ma l'odio non è tutto da una parte. E non si ferma alla politica o alla devianza sociale. C'è anche, violentissimo, il fondamentalismo religioso cristiano: il sito Holywar denuncia dal suo punto di vista il tradimento operato dalla Chiesa post-conciliare ai danni della "vera fede cattolica" e affida alle fotografie di feti umani la sua pedagogia dell'odio contro gli abortisti. Il suo nome, del resto, afferma l'idea che una guerra santa è uno strumento che i cristiani possono e devono usare per raggiungere i loro obiettivi. Non è tutto. C'è addirittura un sito sull'orribile tout-court. Forse il peggiore: perché ostentatamente insensato. Ogrish è una sorta di blog che allinea in un freddo menù le scene peggiori, qualunque ne sia la provenienza e l'eventuale scopo ideologico, in nome del primo emendamento alla Costituzione Americana che garantisce il diritto di espressione. Il pubblico è invitato a contribuire con le scene più scabrose, le violenze più assurde, le mostruosità di ogni genere. Ma qual è l'effetto di tutto questo? Evidentemente non è Internet la causa dell'odio. Ma ne è di certo uno strumento efficace. Chi odia, in Rete, può trovare costantemente nuovo alimento per il suo sentimento, può organizzare le azioni che decide di intraprendere per dar sfogo alla voglia di sangue, può fare proselitismo ed educare ai valori che ritiene debbano guidare il mondo. Internet si conferma una macchina che abbatte qualunque barriera alla comunicazione. Nel bene e nel male. Nel vero e nel falso. Del resto, c'è sempre chi usa la libertà per superare i limiti della pacifica convivenza civile. Come difendersi? E occorre davvero difendersi? "Censurare Internet non ha senso", dice Roversi: "La Rete non si può fermare. Meglio scoprirne i vantaggi: chi non si accontenta di leggere i resoconti ufficiali delle vicende di attualità e ha stomaco, può consultare i siti dell'odio e farsi un'idea indipendente. Le opinioni di chi sostiene la pace e la convivenza tra i diversi popoli non ne saranno indebolite: anzi, la loro azione democratica diventerà più consapevole". Certo, i media tradizionali sono costretti a scegliere: inseguire la crudeltà delle immagini che viaggiano in Rete o filtrarle col rischio di edulcorare la realtà? Il web pone evidentemente l'informazione tradizionale di fronte alle sue responsabilità. Ma questa è un'altra storia. di Luca De Biase Fonte: L'Espresso - espresso.it Notizie correlate Inter
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