E' uscito l'ultimo libro di Carlo Petrini, "dedicato" al milan di berlusconi
04 Aprile 2006 - letto 3823 volte
[b]Potere mediatico e furbizie, fanatismo e complicità politiche, miliardi neri e grigi: la vera storia del Milan berlusconiano. Febbraio 1986: come prendersi il Milan di Farina per due lire. Il Diavolo berlusconiano: elicotteri e miliardi, propaganda e censura. Lo scudetto miracoloso del campionato 1987-88, fra ombre e sospetti. La nebbia di Belgrado e la Coppa dei campioni. I rapporti di Berlusconi con gli ultrà, e il delitto del 4 giugno 1989. Il complotto della monetina, e la porcata del 21 marzo 1991 a Marsiglia. Il consigliere milanista DellUtri: legami mafiosi e pulcini rossoneri. Il grande imbroglio dellaffare Lentini, e la partita Torino-Milan del 25 aprile 1992. La montatura mediatica del capitano Baresi. La squadra-partito, e i giocatori propagandisti di Forza Italia. Il delitto dellultrà milanista a Genova del 29 gennaio 1995. Miliardi in nero ai giocatori milanisti, nascosti nei paradisi fiscali. Il decalogo padronale per lallenatore Tabarez. Stagione 1998-99: il tentativo di partecipare alla Coppa Uefa senza averne diritto. Lo scudetto n° 16, e il sospetto su Udinese-Milan del 18 aprile 1999. Gli insulti berlusconiani contro il commissario tecnico Zoff. Il rifiuto dei giocatori milanisti di sottoporsi allesame antidoping sangue-urina (facoltativo). Il Milan del presidente del Consiglio Berlusconi e del presidente della Lega calcio Galliani: unorgia di potere e affari.
Il diavolo dalle corna finte[/b]
[i]L'ultimo libro di Carlo Petrini ricostruisce le fortune calcistiche del cavaliere tra propaganda, mito e ossessione. A partire dal Mundialito del 1980 quando scesero in campo anche la P2 e il Corriere della Sera La festa dei giocatori del Milan.[/i]
Quella che poteva essere una tranquilla partita tra due squadre in lotta per un posto in Champions League (Milan- Fiorentina, in serata al Meazza) si è trasformata in una partita dagli inaspettati risvolti politici. Lo conferma Carlo Petrini, che ha appena pubblicato Le corna del diavolo (Kaos Edizione 2006), il racconto delle fortune calcistiche di Silvio Berlusconi. «Dopo quello che è successo in Confindustria e dopo le parole di Della Valle a Ballarò - dice l'ex attaccante di Roma, Genoa e Milan convertito scrittore - penso che la cosa sia inevitabile, anche se non era mai capitata prima, almeno in Italia. Il problema è che Della Valle si è messo contro l'uomo più potente d'Italia. Il presidente della Roma Franco Sensi è stato fatto a pezzi per molto meno. Probabilmente se Della Valle avesse avuto al suo fianco un Sensi potente come era qualche anno fa ce l'avrebbe fatta, mentre oggi è più difficile». Petrini cominciò la sua carriera professionistica nel '68 proprio con la maglia rossonera. Poi nel 1980 fu coinvolto nello scandalo delle scommesse e costretto a lasciare il calcio. Dal 2000 racconta il lato sporco del pallone, dal totonero alla n'drangheta passando per doping e fondi neri. La politica, dunque, scende in campo a San Siro questa sera? «Che vuoi che ti dica? - risponde Petrini con la sua usuale schiettezza - Berlusconi ha acquistato il Milan per scopi politici. E' stato un veicolo, il mezzo per conquistare il potere. E lo strumento gli è stato pure regalato, portato su un vassoio d'argento come la testa di San Giovanni. Il Milan rappresentava il tassello di un progetto che era già stato pianificato: è stato l'inizio di Forza Italia, l'inizio di tutto. E' inutile che io ti dica che stasera tifo per Della Valle».
E' inutile, basta leggere Le Corna del Diavolo per capire. E' il resoconto dell'ossessione di un uomo per il consenso, l'egemonia e il dominio: l'ossessione di Berlusconi per Antonio Gramsci. Dalle origini delle sue fortune fino ad oggi, infatti, l'omino di Arcore si batte per conquistare le casematte del potere, quegli apparati ideologici - «di stato» ai tempi di Gramsci - che in una società berlusconizzata corrispondono ai media, al calcio e al governo. La storia, descritta cronologicamente, non comincia il giorno in cui Berlusconi compra il Milan (1986), e nemmeno in quello in cui tenta di comprare l'Inter (1984); comincia nell'autunno 1980, giorni in cui Silvio, grazie al «sistema delle cassette» ideato da Galliani per aggirare la sentenza che lo vietava, ha cominciato a trasmettere in tutta Italia, ma solo in differita. Gli manca la diretta. Giunge provvidenziale un torneo organizzato dalla federazione uruguayana e aperto a tutte le nazionali vincitrici di un mondiale. Lo scopo della tenzone è propagandistico: far dimenticare a colpi di gol la sanguinaria dittatura, come nel '78 in Argentina. Vuole il caso che a Montevideo il venerabile Licio Gelli sia di casa. Non solo è proprietario di un'enorme villa, ma lì ci tiene pure la lista completa degli affiliati alla P2. In Italia il torneo è lungamente pubblicizzato. I giornali controllati dalla loggia ne parlano con toni entusiasti, Sorrisi e Canzoni TV (della Rizzoli) gli dedica un lungo servizio, e Artemio Franchi, presidente della FIGC e pure lui affiliato, ci iscrive la nostra nazionale. Poi, colpo di scena, la Federazione uruguayana non vende i diritti tv all'Eurovisione, come era sempre successo, bensì a Berlusconi, che è senza diretta e ha un network ridicolo. E qui comincia tutto. Usando la tossicodipendenza degli italiani per il calcio come arma di ricatto, Berlusconi e i suoi amici scatenano una campagna stampa per rompere il monopolio Rai.
Pretendono l'utilizzo dei satelliti e chiedono la diretta. Scrive Franco Di Bella (tessera 1887) sul Corriere della Sera: «il ministro delle poste Di Giesi deve concedere a Canale 5 l'autorizzazione. [...]Deve, perché agli italiani non si può negare la visione di avvenimenti che hanno alto gradimento. In questo mundialito, non dimentichiamolo, è impegnata anche la nostra nazionale». La Rai comunque si oppone. Il governo pure. Comincia un lungo tira e molla (a colpi di editoriali, falsificazioni, manovre oscure) che si conclude in maniera inaspettata. A pochi giorni dall'inizio del torneo, con le televisioni europee che si oppongono all'acquisto dei diritti di Berlusconi, interviene la rete piduista e nel giro di poche ore tutto s'inverte: la Rai compra i diritti della Nazionale e quelli dell'Eurovisione (che non riuscirà a rivendere), e permette alla Fininvest di trasmettere tutte le partite non giocate dagli Azzurri.
E' l'inizio del libro di Petrini, «un'altra battaglia della mia guerra personale contro le falsità e le omertà del mondo pallonaro». E' la genesi di quell'assalto al potere nel quale il calcio è usato da Berlusconi una volta per rivendicare il diritto degli italiani a vedere le partite in tv, un'altra per mostrare la superiorità sua e del suo gruppo, sempre bello e vincente. E' qui che si manifesta l'ossessione del cavaliere per il consenso, la sua pretesa, molto gramsciana, di ergersi a classe dirigente (e non dominante), la vocazione a esercitare il potere non per bramosia, ma perché la sua visione del potere è condivisa (non può essere altrimenti, perché questo è l'assioma). Compra il Milan, raggirando il povero Farina, e stravolge il calcio. Lo dopa con miliardi, molti dei quali in nero, alterando la concorrenza. Comincia a vincere, ma non si accontenta, perché lui non vuole dominare, vuole dirigere. Grazie ai media crea una pseudorealtà nella quale il rossonero si tinge di celeste divino (esilarante il capitolo dedicato a Franco Baresi, icona del berlusconismo sfavillante ma uomo raggirabile e meschino; oppure l'ordine impartito ai cameramen Fininvest: «dovete riprendere delle belle immagini, perché noi siamo il Milan: dovete inquadrare bene e da vicino i nostri giocatori più belli, come per esempio Maldini e Bonetti, cioè i giocatori che piacciono alle donne. I tipi piccoli come Galderisi, invece, dovete inquadrarli solo da lontano »). Trasforma ogni successo in una celebrazione sua e della sua subcultura (che intanto diventa cultura tout court); cancella gli scandali e le sconfitte facendo in modo che vengano dimenticate, oppure giustificate, perché «se il Milan vince è tutto merito del magico Berlusconi; se invece perde, è perché Berlusconi, assorbito dai suoi tanti altri impegni, non se ne può occupare abbastanza». Distrugge chi gli si oppone con l'uso dei media ed eleva i fedeli servitori che guadagnano in nero («Van Basten 43 miliardi») a rango di semidei o, se si vuole, a rango di «calciatori organici».
Scrive Petrini: «Non occorre essere degli esperti di comunicazione per capire che giornali e tv possono aiutare una squadra di calcio oppure danneggiarla, possono creare in una società polemiche e tensioni oppure soffocarle, possono alimentare in una tifoseria euforia oppure sfiducia. Giornali e tv possono condizionare arbitri e dirigenti, possono perfino influire sulle quotazioni di mercato dei giocatori. Ecco perché il Milan berlusconiano vuole avere dalla sua parte tutti i mezzi di comunicazione, non solo quelli della Fininvest». Il libro, scritto con l'usuale documentazione Kaos (soprattutto articoli di giornali e sentenze), dà uno spaccato dell'Italia berlusconiana prendendo come variabile indipendente il Milan e il suo calcio. Tenta, e questo è il dato più importante, di scardinare l'immagine falsificata e mitizzata che ha avvolto l'omino di Arcore e la sua squadra. Riportando i fatti e i misfatti, le porcate e la copertura apologetica dei media, racconta l'ossessione di un uomo per il consenso e l'uso che ha fatto del calcio per conquistarlo. Una ricostruzione nella quale la prima vittima risulta essere proprio ilMilan, la squadra caciavit di Rocco, Rivera e Padre Eligio, che Berlusconi trasformò, in breve tempo, in uno strumento di propaganda, la proiezione mitica di un'irrealtà votata alla conquista dell'egemonia. Povero Gramsci, nei piedi viola di Della Valle.
MATTEO LUNARDINI
Il Manifesto