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Un racconto su Genoa-Milan 94/95
16 Gennaio 2006 - letto 16458 volte
Domenica 29 Gennaio 1995, quella maledetta domenica io c’ero…

Sembrava un normale Genoa-Milan.

Io a Genova ci sono stato dalla fine degli anni ’80 e devo dire che è sempre stata una delle trasferte più pericolose.

Per chi non è mai stato a Genova voglio ricordare che una volta arrivati in stazione (Brignole) devi percorrere un lungo viale che costeggia un fiume. Da una parte della riva ci sei tu, dall’altra i tuoi avversari… che ti seguono a vista… ed ad ogni ponte un tentativo di attacco, una carica, un lancio di sassi.

Certi anni a Genova su questi ponti siamo arrivati anche al corpo a corpo.

Torniamo a noi, come vi dicevo tutto procedeva bene, c’era solo la solita tensione che c’è in partite comunque calde come questa.

Arriviamo in stazione, corteo fino allo stadio e nessuno scontro particolare.

Entriamo allo stadio tranquillamente.

Quello che noi non sapevamo è quello che stava succedendo fuori.

Un gruppo di milanisti aveva preso un treno di linea per eludere i controlli delle forze dell’ordine e si era presentato sotto la Nord sfidando i genoani.

Lo scontro tra i nostri e i grifoni era stato inevitabile e a farci le spese era stato Vincenzo Spagnolo, un elemento vicino ai centri sociali di Genova e conosciuto all’interno degli ultrà rossoblu.

Colpito con una coltellata al petto da Barbaglia, un ragazzino che probabilmente non aveva mai usato quell’arma in vita sua…

La sua voglia di mostrarsi “grande” alla faccia dei suoi amici l’aveva portato a compiere la più grande cazzata della sua vita, una cazzata che avrebbe privato della vita un altro ragazzo.

Poco dopo la morte di Spagnolo la partita era già iniziata e la voce si diffonde nello stadio.

Gli ultrà della Nord cercano in tutte le maniere di sospendere la partita lanciando oggetti in campo, azionando idranti, chiamando i giocatori del Genoa per spiegagli ciò che era successo.

La partita verrà effettivamente sospesa, iniziano le lunghe ore di attesa che ci separeranno dal rientro a casa.

I tifosi del Genoa defluiscono dallo stadio e come prima reazione scatenano tutta la loro violenza e rabbia contro la polizia e contro alcune auto targate Milano.

Eh sì, perché la maggiorparte di noi milanisti presenti a Genova è nel settore ospiti, nella famosa “gabbia” e da lì la polizia non ci fa uscire per evitare il linciaggio da parte dei grifoni.

È il primo pomeriggio… Sono le tre e mezza e non so ancora che mancheranno 7 ore alla mia uscita dallo stadio.

La prima cosa che vorrei fare è chiamare casa, avvisare i miei fratelli che sto bene. Immagino la loro angoscia nel sentire le notizie alla TV…

Siamo nel 1995, i cellulari erano ancora poco diffusi, quasi nessuno lo aveva.

Veniamo a sapere dalle persone che sono riuscite a chiamare casa che la Polizia ci vuole tenere dentro la gabbia e filmarci perché pensa che l’assassino sia ancora lì con noi.

Le ore passano e ancora nulla… Lo stadio è deserto, in campo agenti della Digos ci puntano macchine fotografiche e telecamere… Prego Dio che questa angoscia finisca… Non vedo l’ora di vedere casa.

Ad un certo punto un ispettore di Polizia ci ordina di scendere a gruppi nel retro curva… A tutti noi viene ritirata la carta d’identità.

Inizio a preoccuparmi, so come funzionano queste cose, molte volte ci vanno di mezzo persone che non centrano nulla e poi non è mai carino finire in una lista nera della Polizia.

È un po’ come quando compi un piccolo crimine, tu sai che per tutta la vita la tua foto sarà in un album di sospetti e che per tutta la vita la tua foto verrà fatta vedere a persone a cui sarà chiesto <<È lui? È stato lui?>> E molti rincoglioniti/e diranno <> anche se non sono sicuri.

Va be’, questa cosa me l’aspettavo, è morta una persona.

Da dentro la gabbia sentiamo sempre più forti i cori dei Genoani <> .

Ad un certo punto i Grifoni riescono a sfondare i cancelli della gradinata Sud… Non sono in tanti, saranno una trentina, ma fanno paura… Sono tutti incappucciati e brandiscono grossi bastoni.

Vengono dritti verso di noi, tra noi e loro solo un vetro, che per fortuna resiste, altrimenti un nuovo scontro sarebbe stato inevitabile.

Passa altro tempo. Veniamo a sapere, sempre grazie alle chiamate con i cellulari, che la Polizia sta cercando un ragazzo con il Barbour (un giubbotto di moda in quegli anni) e lo stanno cercando tra di noi.

A quanto pare gli amici di Spagnolo si sono ricordati di questo particolare e così la Polizia ci sta filmando per scovare l’assassino.

Indovinate che giubbotto avevo quel giorno? Un Barbour, naturalmente…

Sono sempre più preoccupato… Arrivo a pensare tra me e me che per fortuna i miei sono già morti (mia mamma solo un anno prima) perché penso a quale dispiacere le potrei dare se la Polizia mi trattenesse lì a Genova.

Non so più dove guardare… Non ce la faccio più… Siamo a sera…

Ad un certo punto, mentre sto fissando con lo sguardo perso i gradini, vedo un oggetto di metallo... È il coltello insanguinato che ha ucciso Spagnolo… Giace lì, sui gradini dello stadio… Un ragazzo, di cui non ricordo nemmeno la faccia, con un piede lo nasconde dietro ad un brick.

È buio… Ormai sono quasi le 10…

La Polizia ci chiama ancora giù. Poco a poco vengono riconsegnati i nostri documenti.

Naturalmente la cosa richiederà un bel po’ di tempo, visto il nostro numero.

Sono le 11 di sera…La Polizia ci comunica che usciremo e ci accompagneranno a Milano sì, ma non in treno, bensì con gli autobus di linea di Genova.

I genoani hanno circondato Brignole e hanno occupato i binari, non possiamo tornare in treno e non c’è il tempo per trovare pullman turistici per mille persone.

Iniziamo ad uscire. La Polizia ci fa passare due alla volta, ci fa fermare e mentre una luce ci viene puntata in faccia scorgo vicino ad agenti della Digos dei ragazzi che presumo essere gli amici di Spagnolo. Sono lì per riconoscere l’assassino… Ma l’assassino, anche se non ero io, aveva il Barbour e quindi in quel momento ho il sangue gelato… Mi vedo già a passare la notte in cella a Genova tra i sospettati.

Passa qualche secondo, sono li fermo, gli amici di Spagna che mi guardano e poi finalmente un ordine…<>

Tiro un sospiro di sollievo, esco da Marassi e mi trovo tra due ali di folla che mi grida <> Sputi, insulti, lanci di oggetti, posso capire la loro rabbia…

Saliamo sui pullman, la folla è immensa e le prime centinaia di metri vengono fatti a passo d’uomo, con le volanti e i cellulari della Polizia che si fanno strada a fatica.

ll viaggio è lunghissimo… Pensate a dei pullman di linea che si devono fare 150 chilometri di autostrada a 50 orari.

Arriviamo a Milano che saranno state le 4 del mattino… Vediamo il casello di Assago… <> penso.

Ma non è ancora la fine… Altra bella sorpresa.

Decine di cellulari ci aspettano dopo il casello.

Fanno fermare ancora i pullman… Veniamo ancora una volta schedati… A gruppi di tre, quattro persone dobbiamo essere fotografati.

Passata anche questa riproseguiamo il viaggio.

Mi ricordo che ci hanno lasciato in Centrale e che siamo passati vicino alla questura, in quell’attimo ho avuto il terrore di un ennesimo stop, del tipo interrogatorio generale.

Questa cosa ci viene risparmiata…

Arrivo a casa che è chiaro, non sto in piedi, schiaccio il pulsante dell’ascensore e barcollando all’indietro mi appoggio alla pompa antincendio spaccando il vetro… <>.

Dormo un paio d’ore e vado al lavoro. Sono rincoglionito e sono preoccupato. Ho paura che la Polizia, che ha la mia foto e miei dati mi venga a cercare perché avevo lo stesso giubbotto.

Invece nulla, l’assassinio di Vincenzo Spagnolo viene arrestato all’alba.

La Polizia lo aveva visto, mentre, nel settore ospiti, scambiava il suo Barbour con un altro ragazzo, per non farsi beccare.

Con la carta d’indentità e la foto segnaletica erano arrivati poi a lui.


Si conclude cosi la pagina più nera che ho vissuto nella mia militanza ventennale tra la Fossa dei Leoni. Alcuni ragazzi e ragazze dopo questa cosa hanno lasciato il gruppo, non se la sono più sentita di andare avanti.

Altri, come me, hanno continuato ad andare allo stadio nella speranza che il gesto di alcuni non potesse cancellare 30 di storia di una curva come la nostra.

Trentanni fatti anche di amicizia e solidarietà, di emozioni e di gioie.


A dieci anni di distanza tante cose sono cambiate.

Tra gli ultrà è entrata una nuova parola BUSINESS e così alcuni gruppi più che fare a botte hanno pensato a far soldi…

C’è stata una sempre maggiore repressione, come era inevitabile dopo un omicidio, ma per fortuna qualche cosa ancora è rimasto.

È rimasta la voglia che lega ancora ragazzi come me ad andare allo stadio per il senso di appartenenza al tuo gruppo, perché hai una storia da difendere e portare avanti perché ti emozioni ancora a sentire un coro cantato da 10.000 persone o perché i tuoi amici sono sempre lì e anche per chi non ti conosce, tu sei un amico.

Forse è questa la magia del calcio… Basta una sciarpa per essere amico di 10.000 persone… Non dovrebbe bastare una sciarpa per ammazzare un avversario…

Concludo con quello che mi disse Tim Parks, un giornalista inglese che scrisse un libro sul tifo del Verona. <>.

Da uno che va sia allo stadio che in autostrada vi posso dire che ha ragione.

Continuate ad andare allo stadio. Gli incidenti ci saranno sempre, come sempre ci sarà chi vi insulterà ad un semaforo o chi vi picchierà perché in discoteca avete fissato la sua ragazza. Non per questo non vado a ballare o non vado in macchina…
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