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Il Brescia «blocca» il progetto-stadio
07 Maggio 2015 - letto 891 volte
La Prefettura non riapre la Curva dopo gli incidenti avvenuti con il Vicenza E Sagramola sbotta: «Troppa tensione, così il nuovo Rigamonti non si fa»

«A queste condizioni noi lo stadio non lo facciamo». Stavolta non è il solito dietrofront dovuto alla cronica incapacità d'azione bresciana sul tema più vecchio e dibattuto della città. Questo è un boccone amaro quanto la retrocessione, che Rinaldo Sagramola si è trovato a dover ingoiare ieri mattina dopo che l'incontro con Questura e Prefettura ha confermato la chiusura della Nord per la sfida con il Catania: a causa del comportamento violento di 30 tifosi, questo sabato tutti i 3.000 abbonati della curva non potranno entrare in alcun settore del Rigamonti.
«E' un provvedimento fortemente penalizzante e ingiusto - premette Sagramola -, ma non conoscendo certa storia ho dovuto accettarlo. In un colloquio che si è rivelato estremamente cordiale e franco, il Questore e il Vicario mi hanno messo al corrente di alcune sfumature che non conoscevo. Mi è stato spiegato che la decisione di chiudere la curva è figlia di un atteggiamento di silente solidarietà verso atti di violenza, anche del passato, tenuto nel tempo dalla tifoseria. Mi hanno riferito che non c'è mai stata una reale volontà dei tifosi di condannare certi episodi o prenderne le distanze in modo ufficiale. Ho risposto loro che trovo comunque penalizzante il provvedimento, ma che non conoscendo la storia la devo prendere per buona. Però...».
E INIZIANO i dolori. Se l'ormai probabile retrocessione in Lega Pro è ammortizzabile da una pianificazione sportiva di ampio respiro, certe problematiche della piazza potrebbero anche disintegrare le volontà di business che Profida e Infront hanno individuato a Brescia. «Però... ho fatto presente un concetto - prosegue Sagramola -. Noi a queste condizioni lo stadio non lo facciamo. Se ad ogni episodio di violenza, consumata anche fuori dallo stadio, ci chiudono interi settori, non possiamo pensare di costruirlo. L'operazione sta in piedi soltanto se funziona, non se lo stadio viene mutilato dall'esclusione di tremila soggetti da una curva. Immaginiamo tutto questo rapportato ad un'eventuale nuova struttura, in cui le cifre degli esclusi sarebbero state certamente superiori: se questo è il panorama, quello dello stadio è un investimento che non farò e che sconsiglierò di fare».
NON È UN ATTACCO alle autorità o ai tifosi, ma una fredda e realistica presa di coscienza trasversale di cosa significhi produrre calcio (e business) in una realtà che ha sempre sopravvissuto entro certe dinamiche. «Se non troviamo una sorta di pace sociale con le autorità e con la tifoseria non si può procedere. Perché non si può pensare di costruire uno stadio che poi viene esposto a rischi che non dipendono direttamente da noi. E, paradossalmente, che non dipendono nemmeno da tutta la tifoseria. Chi paga le conseguenze? Noi e gli altri tifosi che non si riconoscono in certi fatti; anche se voglio credere che nessuno si riconosca nel rischio che un bambino perda un occhio».
Da manager, oltre che da uomo di calcio, Sagramola fa un'osservazione che affonda i piedi nel presente ma guarda al futuro. “Qui c'è un problema evidente di prospettiva - dice -. Se ci sono soggetti che vogliono venire a Brescia per realizzare progetti di un certo tipo e sforzi importanti, non possono vedere mortificati i loro investimenti da situazioni del genere». E nel frattempo arriva un comunicato degli Ultras Brescia 1911 - ex Curva Nord, che abitualmente siedono in gradinata, una nota che oltre ad esprimere «sconcerto rispetto ad una decisione grottesca», evidenzia l'iniziativa dei supporters che sabato «almeno per un tempo» diserteranno Brescia-Catania.

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