«Ero all’Heysel 20 anni fa. Mi sono salvato lanciandomi dagli spalti»
30 Maggio 2005 - letto 2766 volte Venti anni dopo, negli occhi e nel cuore rimane l'ombra della morte. «Una partita maledetta, una vittoria da cancellare». Luciano Barelli, comasco di Blevio, oggi 56enne, il 29 maggio 1985 era a Bruxelles. Insieme con tre amici, aveva deciso di fare una settimana di vacanza nel Nord Europa. E di approfittare del viaggio per assistere alla finale di Coppa dei Campioni. Pur non essendo un tifoso bianconero. «Sono un milanista - dice - Davvero bizzarro, ho rischiato la vita senza neanche capire il perché e per una squadra che non era nemmeno la mia». In realtà, Barelli quella partita non la vide. Perché quando gli hooligan inglesi ruppero le reti di protezione della curva, scappò verso l'alto, e si gettò fuori dallo stadio in preda al panico. Il racconto di quei momenti è impressionante. Anche a distanza di 20 anni. «Arrivammo a Bruxelles in camper - attacca Barelli - Ci portammo allo stadio e subito notammo che era fatiscente. L'Heysel era una sorta di catino in cima a una collina, con le curve scavate nel terreno. Prima di entrare, fummo presi a bastonate dai poliziotti belgi a cavallo. Caricavano senza motivo. C'era insomma un clima di tensione e le forze dell'ordine non facevano nulla per calmare gli animi». I quattro amici comaschi entrano nello stadio. E nessuno li controlla. «Abbiamo fatto il giro liberamente, siamo andati da una curva all'altra e non abbiamo incontrato alcuna barriera». Insomma, le tifoserie possono facilmente entrare in contatto. Ma soprattutto, possono portare all'interno dell'impianto sportivo ogni genere di oggetto. «Quando gli hooligan cominciarono a premere contro i tifosi juventini - ricorda Barelli - sopra le nostre teste volò di tutto, persino un estintore». L'Heysel, due ore prima della partita, era l'anticamera dell'inferno. «Uno stadio assolutamente inadatto a ospitare una partita così importante - dice ancora il tifoso comasco - le reti divisorie tra i settori degli spalti sembravano quelle del giardino di casa mia, gli inglesi ci misero pochi minuti a distruggerle». Il ricordo si fa vivo. Torna alla mente la carica degli hooligan, «impazziti e ubriachi, con gli italiani che fuggivano. Mancava l'aria, la calca era così forte che non riuscivamo a respirare». Barelli, insieme con due dei suoi tre amici, si rifugia verso l'alto della curva. È la sua salvezza. Se fosse scappato verso il basso sarebbe probabilmente finito contro il muro il cui crollo provocò i 39 morti. «Siamo arrivati in cima agli spalti e ci siamo buttati di sotto. Proprio perché l'Heysel era 'scavato' nella collina, il salto era basso, un paio di metri. Abbiamo avuto paura per la sorte del nostro amico, non era più con noi. Prima di ritrovarci sono trascorse tre, quattro ore. Abbiamo pensato che fosse morto». Oggi, venti anni dopo, la voce di Barelli tradisce commozione. E angoscia. «Non dimenticherò mai le tende in cui erano stati raccolti i corpi dei tifosi, ancora adesso mi chiedo dove fosse la polizia, perché l'Uefa diede l'ok a una finale in quello stadio fatiscente. L'Heysel non c'è più, ma cancellare il ricordo della tragedia non è possibile». Fonte: corrierecomo.it Notizie correlate Spal
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