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I RACCONTI DELLA FIESOLE "Gli atalantini ultras per eccellenza, noi non esistiamo"
10 Novembre 2008 - letto 13636 volte
"Se c’è una tifoseria ultras per eccellenza in Italia, questi sono i bergamaschi: corretti, numerosi, portatori di mentalità, dunque indiscutibili. Inizialmente amici, tanto che nell’84 entrarono in Fiesole a fine partita per applaudirci, i nostri rapporti sono andati progressivamente deteriorandosi senza che vi fosse un reale motivo. A dirla tutta, mentre loro sono effettivamente rimasti gli stessi nel tempo, noi da dieci anni a questa parte non esistiamo praticamente più se non come rappresentanza ufficiale della locale questura. Ma veniamo alle cose serie del passato: incontro Atalanta-Fiorentina di un sabato 30 dicembre, o giù di lì, di uno degli anonimi campionati di fine anni 80. Entrambe le compagini caratterizzate da una mediocrità assoluta, entrambe palesemente accordatesi da metà settimana precedente per evitare reciprocamente ogni tiro in porta. In sostanza, uno di quei pareggi farsa all’italiana: annunciatissimi, con risultato già scritto mesi prima, contrasti rudi simulati nella mota del centrocampo e tutti a casa. Tutti tranne gli ultras. Partiamo infatti in treno per il Brumana in circa 130. Facce al solito tirate da far paura. Assonnati ed oltremodo infreddoliti, scendiamo per il cambio a Milano Lambrate e ci troviamo subito circondati da un battaglione di carabinieri di leva dall’età media di ventidue anni non di più. Mentre ci squadrano ridacchiando forse per il nostro esiguo numero, al contrario il mio primo pensiero è che se oggi non faranno i buoni per loro si metterà male. Sono quelle sensazioni istintive che solo chi è abituato ad un certo tipo di trasferte può capire: tempo di riprendersi dallo stato comatoso e se non cambierà il loro atteggiamento sarà banda. In effetti, con la nostra reattività pari a zero, continuano a considerarci una sorta di scolaresca in gita. Finisce la partita e ci muoviamo in fila verso il ritorno con questi pischelli che ci pressano ed alzano la voce dicendo di affrettare il passo perché loro devono tornare a casa per il Capodanno e non possono perdere tanto tempo. Ci stanno prendendo per il culo; è il primo campanello di allarme. Mentre continuano a spingere e deridere la nostra ultima fila, succede che un mio amico di allora, pugile in carriera alla Montagnola dell’Isolotto, mi guarda in modo strano dicendomi di andare avanti perché si metterà lui nelle retrovie. Mangiata la foglia, penso che comunque se la sono proprio voluta e che tra non molto si apriranno le danze. Il mio amico rallenta volutamente il passo, uno di loro lo sgambetta. E’ un attimo: il primo si gira d’improvviso e lascia andare al malcapitato una manata in pieno volto che ancora tremare la fiamma sul cappello. Per una decina di minuti il piazzale antistante la stazione di Bergamo si trasforma nell’inferno di un tutti contro tutti. Rammento il volto bianco di quei ragazzotti supponenti in divisa, messi all’angolo ed ammaccati, quando risalimmo sul treno e tuttora mi chiedo perché abbiano svegliato in modo così brusco il can che dorme. Ma quello era il tempo dove non esistevano telecamere né macchine fotografiche digitali e la vita era vita per davvero, soprattutto la vita da ultras".
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