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Perugia, e il Curi era vuoto
03 Dicembre 2008 - letto 1357 volte
La partita Perugia-Real Marcianise, giocata in un Curi desolatamente vuoto, offre lo spunto per riflettere sulla deriva del calcio italiano. I tifosi sono gli ultimi responsabili delle magagne che stanno affossando il calcio moderno. Onore a quanti, pochi o molti che siano, hanno ancora voglia di sfidare le intemperie per seguire le maglie del cuore. In tempi opachi, nei quali tutto e tutti congiurano per tenerli lontani dagli stadi.

Alla partita Perugia-Real Marcianise, giocata domenica scorsa e valida per la quattordicesima giornata del campionato di Prima Divisione della Lega Pro (girone B) hanno assistito, secondo i dati ufficiali, 3.183 spettatori (2.713 abbonati e 470 paganti). Lo spettacolo offerto dal Curi, in una brutta giornata di dicembre, era a dir poco desolante.



Niente di nuovo, comunque, considerato che ormai il calcio italiano è stato dolosamente trasformato in uno spettacolo virtuale dentro scenari di cartapesta. Gli stadi assomigliano sempre più a cattedrali nel deserto, salvo rare e meritorie eccezioni, sotto tutte le latitudini e senza distinzioni di categoria. Ciò è soprattutto palese in ambiti calcistici squassati da una crisi economica di proporzioni inusitate, quali sono la serie B e la Lega Pro. I cui effetti devastanti si potranno misurare solo a fine stagione.



Gli ultimi ad essere colpevoli di questa situazione sono i tifosi. I soli che verrebbero assolti, con formula piena, da un ipotetico tribunale (anche il più prevenuto) chiamato a giudicare lo sfascio del pianeta calcio. Le ragioni di questa deriva sono a monte del tifo, che ne rappresenta comunque la componente più vera e genuina. Prendiamo il caso del Perugia, assunto nella circostanza a paradigma di queste riflessioni a voce alta.



La squadra umbra non va per niente bene e galleggia a metà classifica nel suo girone. Con 19 punti, è staccata di otto lunghezze dalla capolista Gallipoli. In classifica, è sopravanzata da sette squadre tutte forti e che sarà assai complicato rimontare. Dunque, la squadra non piace e non fa presa sul cuore dei tifosi umbri. Una cosa che avviene da che mondo è mondo, sotto tutte le latitudini. Nessuna sorpresa, perciò, se non basta un successo con l’Arezzo per invertire questa tendenza e richiamare gente sulle tribune del Curi. Una rondine non fa primavera.



La società, con la sua condotta ondivaga, sta facendo la sua parte nel determinare il disincanto dei tifosi. Tre allenatori cambiati in quattordici giornate (Indiani, poi Giovanni Pagliari e, infine, Sarri). Progetti faraonici strombazzati a ogni inizio di stagione che, alla fine dei giochi, si trasformano in fallimenti estivi puntuali come cronometri svizzeri. Improvvide e cicliche rivoluzioni della rosa, quando c’è la prova provata che le promozioni si ottengono puntando su un gruppo compatto e omogeneo che si può allestire solo con il tempo (vedi alla voce Sassuolo e Cittadella, per restare in terza serie). Va dato atto al presidente Covarelli, perugino doc, di aver messo nel suo progetto il massimo dell’entusiasmo. Ma da qui a dire che i risultati si stanno vedendo, ce ne corre.



Inoltre la crisi economica strisciante colpisce duro. I portafogli della gente sono vuoti. Esistono priorità, in ambito sociale e familiare, che vanno oltre il tifo per le maglie. E quando c’è da scegliere dove dirottare i soldi, solo l’entusiasmo trascinante di una squadra che cattura il cuore può diventare vincente sotto questo aspetto.



Ancora, le condizioni penose in cui versano gli stadi italiani. Soprattutto in terza serie, e non solo, l’obsolescenza degli impianti non invoglia certo ad andarsi a inzuppare dalla testa ai piedi o a morire di freddo la domenica. Per assistere, poi, a spettacoli tra l’altro discutibili sotto il profilo del divertimento e del coinvolgimento.



Se a tutto questo aggiungiamo le norme di polizia (divieti di trasferta, partite a porte chiuse, tornelli, acquisto nominativo dei biglietti, tessere del tifoso e quant’altro) che ostacolano oltre ogni ragionevole misura gli accessi anche dei pochi ancora ben disposti - e sono stati accettati supinamente dalle varie Leghe- ebbene la misura è colma.



In una situazione catastrofica come questa, vedere stadi ancora pieni - come il Bentegodi quando gioca l’Hellas Verona, il Mazza quando gioca la Spal e il Santa Colomba quando c’è il Benevento in campo, per rimanere ai primi esempi che ci vengono in mente per la terza serie - rappresenta un’eccezione meritoria. Ma non certo la regola.



Onore dunque ai 2.713 abbonati e ai 470 paganti del Curi nella partita Perugia-Real Marcianise. Questi coraggiosi, in un calcio moderno ormai inevitabilmente intossicato da fattori extra-sportivi, sono lo zoccolo duro da cui ripartire per ricostruire un prodotto che resta comunque nel cuore della gente. Anche se ancora non si intravede all’orizzonte lo sciamano capace, con il suo intervento, di raddrizzare una barca che potrebbe ancora essere pilotata verso un porto salvifico.
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