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L'Agente: «Ho rischiato la vita ma non sono un eroe»
12 Gennaio 2007 - letto 4059 volte
«Ho rischiato la vita ma non sono un eroe»
ROBERTO VENTRE Reparto di chirugia d’urgenza, al quarto piano del San Leonardo, in fondo al corridoio si vede lo stadio Arechi, teatro degli scontri tra i supporter della Salernitana e la polizia. Nella stanza 5, assistito dalla moglie Cecilia e dalla sorella Pasqualina, c’è Luigi Silvestre, il poliziotto di 37 anni, sposato con due figlie di 8 e 4 anni, originario di Casandrino, che presta servizio presso il Reparto Mobile di Bari, quello ferito in maniera più grave per lo scoppio della bomba carta lanciata dalla curva sud verso il piazzale esterno. È in dimissioni, le sue condizioni ora sono rassicuranti, ma al momento del ricovero, mercoledì pomeriggio, si è temuto il peggio. Ieri mattina era ancora lì, sono andati a trovarlo i colleghi del reparto Mobile di Bari, quello colpito duramente con dieci agenti feriti: erano diretti a Caserta per il servizio d’ordine a Prodi. «Mi sembra ancora dei sentirli quei botti, quando sono uscito dalla sala operatoria per essere accompagnato in reparto, ancora si sentivano gli spari che venivano dallo stadio». Ci racconti quei momenti? «I tifosi della Salernitana in curva si muovevano pericolosamente, la loro intenzione era abbandonare il settore per spostarsi verso i tifosi della Cavese. Noi eravamo lì, abbiamo chiuso il cancello, per evitare il contatto. E ci siamo riusciti, il nostro dovere l’abbiamo fatto ed è questa la cosa più importante». Ha temuto il peggio? «Hanno cominciato a lanciarci contro di tutto: oggetti, pietre e si avvicinano minacciosamente perchè volevano farci uscire dal settore. Poi dal primo anello è stata lanciata questa bomba carta che mi è esplosa tra i piedi. Se fosse esplosa un attimo prima avrei rischiato la vita, io e qualche mio compagno». Che ha sentito in quel momento? «Un’esplosione spaventosa, era chiaramente un ordigno rudimentale, costruito per fare male. Era tutto premeditato, lo avrebbero lanciato contro di noi oppure contro i tifosi avversari. Quando è esploso sono arrivati frammenti di ferro e le schegge si sono infilate nella gamba destra: è uscito sangue, mi sono accasciato». E poi? «I colleghi mi hanno aiutato a salire sul mezzo e lì mi sono accorto che sanguinava anche l’inguine. Poi la corsa in ospedale». Si sente un po’ un eroe? «No. Non mi sento Rambo, ma non temo nessuno. Sono pronto a rifare il mio dovere. Ero lì per difendere i tifosi di tutte e due le squadrei e insieme ai miei compagni ci siamo riusciti. Senza il nostro intervento sarebbe stata una tragedia. Il servizio d’ordine ha funzionato alla perfezione, capita con tanti uomini dislocati in più settori di trovarsi ad un certo punto in settanta contro duemila. E lì vai in difficoltà, perchè hai solo lo scudo e il manganello e dal’altra parte sono armati di tutto». Come spiega tanta violenza? «Sono varie le motivazioni. Il tentativo di colpire i tifosi rivali, la rivendicazione del proprio territorio. E’ successo con i tifosi della Salernitana perchè si giocava a Salerno, ma fatti violenti succedono in ogni città d’Italia, in ogni partita. Ricordo l’assalto al commissariato dopo un Napoli-Roma di coppa Italia. Eravamo noi anche lì. E poi da altre parti ci sono motivazioni politiche, perchè noi siamo visti come uomini di destra e molte curve sono di sinistra». Il problema come si può risolvere? «Adottando il modello all’inglese con leggi più severe. Lì il problema era ancora più grosso e l’hanno risolto: se sbagli devi avere il timore di una punizione adeguata. Qui in Italia invece dopo poco torni di nuovo libero e torni allo stadio. Ma io non mi tiroi indietro, appena starò bene tornerò a fare il mio dovere».


Fonte: Il Mattino
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