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I tifosi inglesi contro l'omofobia
10 Agosto 2015 - letto 1391 volte

Omo­fo­bia e raz­zi­smo, due sin­tomi spia­ce­vo­lis­simi della English Disease, la malat­tia che ha fiac­cato il cal­cio inglese negli ultimi decenni del secolo scorso. Quando andare allo sta­dio a Lon­dra, a Man­che­ster o a Leeds era un’esperienza tutt’altro che rilas­sante. Le scaz­zot­tate tra hoo­li­gan, i lanci di banane ai gio­ca­tori neri e i cori raz­zi­sti erano una spia­ce­vole costante nella mag­gior parte delle arene d’oltre Manica. Da allora l’acciaccatissimo Beau­ti­ful Game ne ha fatta di strada sul cam­mino della reden­zione. Non sono tutte rose e fiori, è ovvio. Per quanto cir­co­scritti, epi­sodi da stig­ma­tiz­zare ce ne sono ancora. Sugli spalti, ma anche in campo. Pro­prio su un ret­tan­golo di gioco quat­tro anni fa l’ex capi­tano della nazio­nale inglese John Terry rivolse degli insulti a sfondo raz­ziale ad Anton Fer­di­nand, fra­tello del più cele­bre Rio, nel corso del match di Pre­mier Lea­gue QPR vs Chel­sea. Imme­dia­ta­mente dopo l’accaduto si sol­levò un enorme pol­ve­rone e si discusse a lungo sull’efficacia di ini­zia­tive anti-razziste come Kick It Out, secondo lo stesso Rio Fer­di­nand troppo timida nel suo modus ope­randi. Certo, è bene riba­dirlo, non c’è para­gone rispetto a quanto si veri­fi­cava negli anni Set­tanta o non più tardi in buona parte dei Novanta. In quelle decadi erano altresì sicu­ra­mente impen­sa­bili i pro­gressi fatti oggi­giorno in merito alla lotta con­tro l’omofobia. Men­tre da noi il pre­si­dente della Lega Nazio­nale Dilet­tanti Felice Bel­loli bol­lava il cal­cio fem­mi­nile come uno sport pra­ti­cato da «quat­tro lesbi­che che chie­dono solo soldi», in Inghil­terra alcuni tra i prin­ci­pali club pro­fes­sio­ni­stici rico­no­sce­vano uffi­cial­mente club di tifosi dichia­ra­ta­mente omo­ses­suali e lesbi­che. Dave Raval e Mar­cel Gra­ves sono soci di alcuni di que­sti club. Li abbiamo incon­trati a Lon­dra, in un pub nell’East End lon­di­nese. Pre­ci­sa­mente ad Hac­k­ney, a due passi da un immenso spa­zio verde, la dome­nica tea­tro di decine di match di foot­ball ama­to­riale.
«Noi dei Gay Goo­ners siamo in 250. Il 30% è com­po­sto da lesbi­che, men­tre il 15% sono per­sone che vivono all’estero. Con que­sti ultimi ogni tanto ci incon­triamo allo sta­dio, altri­menti ci sen­tiamo spesso tra­mite i social net­work. Da un po’ di tempo abbiamo anche il nostro stri­scione che espo­niamo con orgo­glio sugli spalti dell’Emirates Sta­dium (l’impianto dell’Arsenal, ndr)» ci spiega Dave, sup­por­ter della com­pa­gine lon­di­nese. Pro­prio l’Arsenal è stata la prima società cal­ci­stica inglese a rico­no­scere uffi­cial­mente nel 2013 un club di tifosi gay, men­tre i primi in asso­luto ad asso­ciarsi sono stati i Gay Vil­lans (sup­por­ter dell’Aston Villa) verso la fine dello scorso decen­nio. Ora sparse per il Paese di realtà di que­sto tipo ce ne sono altre 20, nate nel breve spa­zio di 2–3 anni. «In realtà – ci rac­conta ancora Dave – anche 20–30 anni fa c’erano pic­coli gruppi ’clan­de­stini’, che fini­vano per incon­trarsi in alcuni pub soprat­tutto in occa­sione delle tra­sferte». I rap­porti con l’Arsenal sono molto buoni. «L’allenatore fran­cese Arsene Wen­ger non perde occa­sione per soste­nerci, inol­tre ogni tre mesi incon­triamo la diri­genza e ci coor­di­niamo con loro per por­tare avanti una serie di atti­vità. Per esem­pio prima di una par­tita dello scorso feb­braio, che nel Regno Unito era il mese della Sto­ria LGBT, abbiamo sfi­lato in campo con il nostro stri­scione. Con noi c’era anche l’ex gio­ca­tore Pat Rice, una delle leg­gende della squa­dra del recente pas­sato. Nel corso di quella par­tita sui pan­nelli elet­tro­nici a bordo campo sono apparse una mezza doz­zina di volte la ban­diera arco­ba­leno e il mes­sag­gio ‘L’Arsenal è per tutti’».

Che la com­pa­gine del nord di Lon­dra sia atti­va­mente impe­gnata a difen­dere i diritti dei suoi tifosi gay ce lo dimo­stra un altro epi­so­dio acca­duto al prin­ci­pio del 2015. L’Arsenal doveva gio­care un match di coppa a Brighton, che ha fama di essere la città più gay friendly del Regno Unito. Per que­sto motivo quando vi si recano le tifo­se­rie in tra­sferta into­nano spesso il coro «il tuo ragazzo sa che sei qui?» ai sup­por­ter avver­sari. «Una forma di omo­fo­bia a ‘bassa inten­sità’, ma pur sem­pre da stig­ma­tiz­zare», ci dice Dave. «Per que­sto abbiamo segna­lato la cosa all’Arsenal, che ha man­dato una email a tutti coloro che ave­vano com­prato il biglietto per la par­tita con il Brighton e messo un avviso nel pro­gramma del match casa­lingo che ha pre­ce­duto quella sfida di coppa per chie­dere espres­sa­mente di non can­tare quel coretto. Le 3–4 per­sone che lo hanno fatto sono state subito bloc­cate da altri spet­ta­tori e dalla poli­zia». Il cam­bia­mento cul­tu­rale è ormai in atto. Omo­fo­bia e raz­zi­smo ini­ziano a non essere più tol­le­rati, tanto che molte per­sone che assi­stono ad atti discri­mi­na­tori non riman­gono pas­sive. Ben altro con­te­sto, rispetto a quando negli anni Ottanta le società di cal­cio «dis­sua­de­vano» i sup­por­ter neri a seguire i loro team in tra­sferta per­ché non pote­vano garan­tire la loro inco­lu­mità o gli slo­gan omo­fobi erano ricor­renti pres­so­ché ovun­que. Anche Dave e Mar­cel sono sor­presi dalla velo­cità con cui si stanno veri­fi­cando tutti que­sti passi in avanti, senza dub­bio age­vo­lati dalla cam­pa­gna nazio­nale «Foot­ball vs Homo­pho­bia». «Per la squa­dra per cui fac­cio il tifo, il Nor­wich City, negli anni Ottanta ha gio­cato Justin Fashanu. Un gio­ca­tore omo­ses­suale che è stato pro­fon­da­mente discri­mi­nato nel mondo del foot­ball, per­sino da suo fra­tello John, anche egli un famoso cal­cia­tore». Accu­sato in maniera pre­te­stuosa di mole­stie ses­suali, Justin si sui­cidò a soli 37 anni.

«A feb­braio tutti i gio­ca­tori del Nor­wich hanno messo agli scar­pini i lacci con i colori dell’arcobaleno e anche il nostro club, i Proud Cana­ries, ha il rispetto e l’attenzione che merita» rac­conta Mar­cel. Dave ci tiene a sot­to­li­neare gli aspetti su cui biso­gna ancora lavo­rare. «A Lon­dra i club di tifosi gay non hanno mai avuto pro­blemi. La nostra è una città molto aperta e tol­le­rante, però altrove so di epi­sodi poco edi­fi­canti». Mar­cel ci con­ferma l’esistenza di situa­zioni poco pia­ce­voli par­lando della sua espe­rienza in una squa­dra dilet­tan­ti­stica com­po­sta da omo­ses­suali. «Alla fine ho smesso per­ché non mi sen­tivo com­ple­ta­mente a mio agio in quel con­te­sto». Nell’ambiente del cal­cio i pre­giu­dizi sono duri a morire, come ci dimo­strano vari «inci­denti» occorsi sui social net­work, in par­ti­co­lare su Twit­ter, e che hanno visto pro­ta­go­ni­sti degli «addetti ai lavori». Tra que­sti Ravel Mor­ri­son, da poco messo a con­tratto dalla Lazio, e l’opinionista ed ex cen­tra­vanti del Liver­pool Stan Col­ly­more, entrambi col­pe­voli di aver scritto tweet con insulti omo­fobi. Un gio­ca­tore della Pre­mier Lea­gue gal­lese, Daniel Tho­mas, è stato addi­rit­tura arre­stato per i pesanti apprez­za­menti espressi via Twit­ter con­tro il tuf­fa­tore della nazio­nale olim­pica bri­tan­nica Tom Daley. Iro­nia della sorte, un altro Tho­mas, Gareth, capi­tano della nazio­nale di rugby gal­lese, è stato il primo spor­tivo bri­tan­nico a fare coming out men­tre era ancora in atti­vità, nel 2009. Un gesto che ha avuto una grande eco a livello nazio­nale e inter­na­zio­nale. Per la verità c’è un cal­cia­tore con un pas­sato nella Pre­mier Lea­gue inglese che ha dichia­rato pub­bli­ca­mente di essere omo­ses­suale. È il tede­sco ed ex cen­tro­cam­pi­sta dell’Aston Villa Tho­mas Hitzl­sper­ger, che però ha rive­lato il suo segreto dopo aver lasciato l’attività ago­ni­stica. A quando dei coming out di gio­ca­tori nel pieno della loro car­riera? «Ti posso dire che all’interno delle squa­dre si sa benis­simo se ci sono dei loro com­po­nenti che sono omo­ses­suali, e ce ne sono. Però ester­na­mente que­sta cosa non tra­pela ancora», mi assi­cura Dave, che si fa una risata quando gli ricordo le dichia­ra­zioni rila­sciate qual­che tempo fa dall’ex alle­na­tore della nazio­nale ita­liana Mar­cello Lippi – «In 40 anni di cal­cio non ho mai cono­sciuto un cal­cia­tore gay» – e di Anto­nio Cas­sano – «Gay in nazio­nale? Sono pro­blemi loro. Ma spero di no». Se in Inghil­terra ci si lamenta che la Foot­ball Asso­cia­tion potrebbe fare di più sulla que­stione, che cosa dovremmo dire noi in Ita­lia, dove è facile pre­ve­dere che club come i Gay Goo­ners o i Proud Cana­ries avreb­bero parec­chie dif­fi­coltà a farsi accettare?

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