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Avellino: altri 4 arresti. Parla il padre di Sergio
29 Gennaio 2004 - letto 1832 volte


FRANCESCO MAROLDA
La notizia dei nuovi quattro arresti l’ha accolta con indifferenza. Maurizio Ercolano, il padre del ragazzo che nella notte del derby mai giocato perse la vita ad Avellino per scappare da una guerriglia che non gli apparteneva e che, anzi, temeva, se la lascia scivolare addosso. E nulla cambia se quest’ultimi arrestati non sono neppure maggiorenni. Poco gli interessa. Quattro mesi dopo la tragedia di Avellino, infatti, è sempre il dolore a vincere su tutto. «Mio figlio è morto per il calcio. Per una passione, la sua, assai pulita», dice prendendo immediatamente le distanze dal tifo-delinquenza.
«Sono uno di quei napoletani - racconta - che hanno smesso di andare allo stadio quando Maradona è andato via. Anche allora, ricordo, di tanto in tanto c’erano scintille tra la gente, ma la maggioranza tifosa e non violenta aveva il sopravvento. Era un piacere andare a vedere la partita. Ora, invece...»
Ora, invece, accade - è accaduto cinque giorni fa - che la guerriglia da stadio è culminata addirittura nell’assalto ad un commissariato. Segno evidente di un’eversione che prima non entrava dove si giocava a calcio e che invece oggi entra ed esce a piacimento dallo stadio. Specchio di un malessere sociale che vede in chi è in divisa il vero nemico. «Probabilmente è vero, ma penso anche un’altra cosa - continua Maurizio Ercolano -. Penso che i violenti abbiano troppo spazio, troppa pubblicità sui giornali ed in tv. Fosse per me, ne parlerei di meno. Forse addirittura niente. Sarebbe anche questo un modo d’isolare questi signori malati di violenza. Non trovando più le loro bravate sotto i titoloni, probabilmente non avrebbero neppure più la voglia, il gusto di ripetersi allo stadio».
Una teoria che è forse o soprattutto il frutto, il risultato di un percorso personale e doloroso, ma che ha anche spazi di verità. «Non so per colpa di chi o di che cosa è morto mio figlio - spiega -, ma una cosa so per certo: il nome, il volto di mio figlio possono essere nome e volto solo di un tifo vero, trasparente, pulito. Sergio era un ultrà? Se ultrà vuol dire essere tifoso appassionato e contro la violenza, sì, era un ultrà. Non sopporterei, insomma, che della sua immagine, della sua storia, della sua morte s’impadronissero i violenti perché mio figlio non era una di loro. Un destino maledetto ha voluto che quel giorno seguisse il Napoli in trasferta, lui che in trasferta non ci andava mai, e che poi per paura, per scappare dagli scontri...»
E di scontri, di violenza negli stadi hanno parlato giusto l’altro giorno ministero degli Interni e club. E è venuto fuori un fatto nuovo: pur se gli incidenti avvengono per «motivi» legati alle partite, il rischio aumenta per la presenza di polizia e carabinieri contro i quali esplode sempre più spesso la violenza. Presenza che entro un paio d’anni dovrebbe scomparire. Uomini in divisa all’esterno degli stadi e ai varchi d’accesso e poi sicurezza sugli spalti affidata alle società. Questo il progetto. Questa la teoria.

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