Processo per associazione a delinquere per 6 ultrà atalantini
03 Luglio 2015 - letto 1149 volte La posizione di Daniele Belotti, noto esponente leghista e tifosissimo nerazzurro, accusato di concorso esterno, è stata momentaneamente separata in attesa di sentire questori e prefetti in carica a Bergamo dal 2006. Come è noto, Belotti ha sottolineato di essere sempre stato tramite tra le autorità e la tifoseria. Prossima udienza per gli altri tifosi. L’ala violenta della Curva Nord è un’associazione per delinquere oppure un manipolo di esagitati che agiscono sull’onda emotiva, senza predeterminazione? È il dilemma che l’inchiesta del pm Carmen Pugliese ha sollevato e che stamattina ha avuto una nuova svolta, negativa per gli ultrà nerazzurra. Ricordiamo che la Cassazione aveva annullato la sentenza di non luogo a procedere del giudice preliminare Patrizia Ingrascì nei confronti del leader degli ultrà nerazzurri e dell’ex assessore regionale leghista. Ora si apre un nuovo capitolo. Il dibattimento per oltraggio, resistenza, lesioni e altro si è già celebrato in primo grado nei confronti di 147 imputati (fra cui i sei supporter sopra citati; Belotti non era alla sbarra). Il gup aveva sentito nei giorni scorsi sia il pm, sia le difese. Il pm Carmen Pugliese s’era richiamata al pronunciamento della Corte Suprema: «Non è solo lecito associazionismo finalizzato al tifo, come motivato dal gup Ingrascì, ma anche a commettere violenze. La Cassazione ha evidenziato intercettazioni (“caricare i romani”, “noi abbiamo voglia di picchiarci e basta”) che lo confermano». Non è così, invece, per gli avvocati difensori che avevano sottolineato: «C’è un’associazione, ma costituita solo per fare il tifo. Poi, sì, gli indagati compiono reati, ma lo fanno occasionalmente, in momenti contingenti e senza una predeterminazione». Federico Riva e Giovanni Adami per gli altri cinque ultrà: «Il gip Viti nel 2011, al momento di pronunciarsi sulle misure cautelari, non aveva ravvisato i gravi indizi di colpevolezza. Da allora nuove indagini non sono state fatte e, dunque, non ci sono elementi aggiuntivi. È vero che i reati venivano “preparati”: ma un conto è la premeditazione, un conto è l’associazione». Marco Saita, difensore di Belotti, aveva invece prodotto documenti per dimostrare come il suo assistito sia stato il «trait d’union» tra la Curva e le istituzioni: «In entrambe le direzioni, perché anche le forze dell’ordine chiedevano il suo intervento. Un ruolo di interlocutore riconosciuto, che ora non può trasformarsi in capo di imputazione». Fonte: ecodibergamo.it Notizie correlate Atalanta
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